Con 468 voti a favore è stata votata alla Camera, lo scorso 8 febbraio, l’approvazione definitiva della proposta di legge costituzionale che ha introdotto la tutela dell’ambiente nella Costituzione Italiana. La modifica riconosce che tra i principi fondamentali enunciati nella Costituzione deve essere considerato il principio di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.

Le parole utilizzate e l’inserimento tra i principi fondamentali rendono la nostra Costituzione, oltre che la più bella e inclusiva del mondo, anche una Carta moderna e innovativa, in linea con principi formulati a livello europeo ed internazionale, che rende il concetto della sostenibilità centrale nell’azione di tutela dell’ambiente. Le nostre ragazze e i nostri ragazzi, con i Fridays for Future, ci hanno ricordato nei mesi scorsi che la nostra Terra è solamente presa in prestito dai nostri figli e inserire il richiamo alle future generazioni in Costituzione rappresenta il nostro più grande impegno verso di loro. La reale rivoluzione è l’abbandono della visione antropocentrica nella tutela dell’ambiente: esso non viene custodito in funzione del benessere del cittadino, ma in quanto valore pubblico fondamentale, primario e sistemico.

Il Parlamento, con spirito bipartisan, ha lavorato su questa modifica costituzionale sforzandosi di trovare le parole più giuste e più efficaci. Considerare come principio fondamentale la tutela della biodiversità e degli ecosistemi non è un concetto banale, poiché nel momento in cui ne parli non ti stai concentrando semplicemente su piante e animali, ma stai ragionando sui processi ecologici in essere, sui flussi di energia tra i vari livelli trofici e sui luoghi fisici in cui essi avvengono.

Si introduce, pertanto, la complessità nel discorso politico e sociale; un sistema ecologico è in costante equilibrio dinamico, interconnesso e in continua evoluzione e mal si adatta a approcci semplicistici.

Tale aspetto si dovrà connettere con quanto previsto dall’art. 41 della Costituzione, anch’esso modificato, che in materia di iniziativa economica privata stabilisce che essa non potrà svolgersi in danno alla salute e all’ambiente e che la normativa dovrà indirizzare e guidare l’attività economica, pubblica e privata, a fini anche ambientali.

Sono sotto gli occhi di tutti gli effetti che la maggior parte delle decisioni fin qui prese, che hanno privilegiato considerazioni economiche e logiche del mercato, hanno prodotto sull’ambiente in cui viviamo. Le modifiche della Costituzione introducono, invece, un costante e reciproco bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza che uno possa prevalere sull’altro.

Risulta chiaro, quindi, che per poter perseguire il principio sancito dall’art. 9, le leggi e il sistema amministrativo dovranno riconoscere la complessità intrinseca dell’ambiente che dovranno tutelare, attuando un sistema di governance adattabile e flessibile.

Non è un caso che il PNRR utilizzi nell’acronimo il termine Resilienza, che in ecologia descrive la velocità con cui un sistema ecologico ritorna al suo stato iniziale dopo una perturbazione. Le sfide che abbiamo di fronte nei prossimi 10 anni sono cruciali. Saranno anni in cui tutta la macchina burocratica punterà alla velocità, perché l’imperativo assoluto sarà quello di spendere i 191 miliardi del Piano; in 4-5 anni dovremo spendere quanto normalmente spendiamo in 10 anni. Il nostro territorio sarà quindi interessato da innumerevoli progetti che andranno redatti, valutati e cantierizzati in tempi mai visti prima, con la speranza che possano fare da volano ad un nuovo rinascimento, nel rispetto delle finalità del Piano (la transizione ecologica) e, da oggi, anche della nostra Costituzione.

Guardando alle ultime esperienze sarà, però, un periodo non semplice per le nostre comunità. Le realizzazioni di TAP, impianti di energia rinnovabili, grandi infrastrutture hanno rappresentato, negli ultimi anni, terreno di scontri, anche violento in qualche caso, che hanno visto le comunità locali lacerate da opposte fazioni, in balia di molti improbabili capipopolo. È stato un fiorire di comitati e forum, molto spesso autorappresentativi, che hanno creato molto rumore di fondo, che “in nome dell’ambiente” hanno ostacolato in molti casi i processi decisionali e valutativi, aggredendo in alcuni casi la comunità scientifica, colpevole di fare il proprio lavoro, cioè fornire dati come supporto alle decisioni. È stata l’occasione per molti amministratori di fare campagna elettorale, spostando nelle piazze la discussione, senza però dare alla cittadinanza gli strumenti necessari per la comprensione dei processi in atto.

È necessario ridare centralità ai percorsi valutativi dei progetti e degli investimenti, coinvolgendo maggiormente le comunità locali e la comunità scientifica, dando accesso trasparente a tutte le informazioni, ma impedendo che questi divengano tribune per personaggi in cerca dei 15 minuti di celebrità.

In questo l’Amministrazione Regionale pugliese ha un compito davanti a sé centrale.

Prima di tutto deve abbandonare atteggiamenti da caccia alle streghe priva di qualsiasi criterio scientifico che stanno caratterizzando le ultime due legislature. Le scene e le giravolte repentine viste per xylella, TAP, offshore speriamo che appartengano ad un passato che non deve ritornare.

Secondo, deve adoperarsi per potenziare gli uffici deputati alle valutazioni ambientali e paesaggistiche, investendo in risorse umane, competenze e strumenti disponibili. Le valutazioni ambientali non devono essere dei momenti di ostacolo, ma l’occasione per migliorare il progetto, per trovare le soluzioni che garantiscano anche l’accoglimento delle istanze provenienti dalle comunità locali, assicurando, però, tempi di svolgimento compatibili con le esigenze di investimento. Le comunità locali, però, devono acquisire maggiore consapevolezza e avere accesso alle informazioni più aggiornate, diventando parte attiva del processo e non massa da fare andare a sbattere contro le recinzioni dei cantieri. Pertanto, bisogna ritornare ad investire sulla consapevolezza ambientale della cittadinanza pugliese, rimettendo in funzione quel sistema di centri e laboratori di educazione ambientale, diffusi sul territorio, abbandonati alla morte negli ultimi 10 anni.

Terzo, bisogna maggiormente investire sulla conoscenza dei processi ecologici presenti nel territorio, con campagne continue di monitoraggio, che garantiscano una visione costantemente aggiornata sullo stato di salute dei nostri ecosistemi. Mutuando quanto in programma da parte del Ministero della Transizione Ecologica, si potrebbe pensare alla costituzione di una rete di Centri per la Biodiversità in grado, per territori o ambiti omogenei, di assicurare una costante raccolta e diffusione dei dati.

Quarto, bisogna far riprendere dallo stato comatoso in cui versa il sistema delle aree protette regionali, individuando gli enti gestori, responsabilizzandoli, finanziandoli, in modo da garantire la sopravvivenza dei punti focali della biodiversità in Puglia. Va ricordato che uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 è quello di portare la superficie delle aree protette al 30% e in un territorio che attualmente raggiunge a malapena il 12%, caratterizzato da un consumo di suolo drammatico, tale obiettivo rimane più che chimerico.

Quinto, bisogna investire in interventi di ricucitura del territorio, interessato da rischio idrogeologico, consumo di suolo, erosione costiera.

Le sfide davanti a noi richiedono coraggio, competenza e visione del futuro. L’attuale amministrazione regionale è all’altezza di queste sfide?